martedì 1 novembre 2011

45 giorni a Vogue #Chapter 9

Enjoy it sulle note di TO BE LOVED - TRAIN 



Io ed Enrico siamo accocolati sul divano del soggiorno, nel mio appartamento, e guardiamo un po' di tv spazzatura. C'è un reality su delle spose che vincono interventi di chirurgia plastica di dubbia moralità. Sento la porta di ingresso aprirsi, subito dopo il tonfo della chiusura. La catenella appesa tintinna. 
"Filippa sono io" grida Arianna dall' ingresso. "Ho portato gli spaghetti tahilandesi di quel ristorante vicino l' ospedale".
"Ariiii, sono in soggiorno" le urlo di rimando.
Arianna poggia la borsa a terra e si sfila le Converse. Appende il giubbotto all' attaccapanni. Mette la sua borsa da medico nella cassapanca all' ingresso. Fa sempre le stesse cose, appena rientra a casa, da quando viviamo insieme. 
"Ah, Enrico. Sei qui anche stasera!" dice evidentemente infastidita appena fa il suo ingresso in soggiorno "purtroppo gli spaghetti non bastano per tutti". Butta il sacchetto sul tavolo e si dirige verso il corridoio sbattendo i piedi scalzi sul pavimento di legno scuro. 
Enrico mi guarda sorpreso. Con gli occhi mi chiede cosa sia successo. Ho come il presentimento di sapere cosa sia preso ad Arianna. "Ehy, ti dispiace se per stasera dormi a casa tua?" gli ghiedo.
"Perché? Ho fatto qualcosa di male?" 
"No, tu non c' entri. Ti spiego più tardi, adesso tornatene a casa" gli dico baciandolo sulla guancia. 
"Non voglio dormire senza di te stanotte" si lamenta.
Mi alzo dal divano sul quale stavo comodamente accucciata e lo tiro per un braccio. Davanti la porta d' ingresso mi regala un sorriso e un bacio e sparisce dietro le porte dell' ascensore. 
Entro in camera di Arianna e la trovo intenta a piegare la massa di vestiti smessi che si era accumulata sulla cassapanca ai piedi del letto in maniera convulsa. 
"Ari c'è qualcosa che vuoi dirmi?" le chiedo.
"No" risponde acida.
"Sicura?" 
"Si". La guardo sorridendo. "E' che mi manchi" continua. 
"Non sono andata da nessuna parte" mi giustifico ma capisco bene cosa vuole dire.
"Io sono felice che fra te ed Enrico le cose vanno bene e capisco che l' unico posto in cui potete rilassarvi ed essere voi stessi è a casa ma sono giorni, ormai, che non hai un minuto per chiacchierare. Lavori fino ad orari impossibili e quando sei a casa o c'è Enrico o il tuo Blackberry suona peggio di un centralino. Ero abituata ad averti tutta per me. Non andiamo più al cinema il mercoledì, non prendiamo l' aperitivo al bar qui sotto al ritorno dal lavoro. A colazione c'è sempre Enrico e non ho mai la possibilità di parlarti da sola: ti gira intorno come un satellite. E la cosa drammatica sai qual è? L' Operazione Bruco! Tu sai che è sacra" 
"Tirare in ballo l' Operazione Bruco è un colpo basso!" le dico fintamente severa. 
"E' saltata già due volte da quando vi vedete. In otto anni di convivenza, l' unica volta che abbiamo rinunciato all' Operazione Bruco avevo la varicella e non facevo altro che grattarmi!" 
Arianna ha preso la varicella a ventidue anni e sua madre, Lady Arleene, ride ancora di questa cosa. 
"Mi spiace. Sto lavorando come una dannata: mancano sedici miseri giorni alla fine del mio stage e c'è un piccolo spiraglio di luce alla fine del tunnel. Siamo rimasti in sei e sento che Ferdinanda si fida davvero di me. Capisco che l' entrata in scena di Enrico abbia sconvolto i nostri equilibri ma, Ari, mi piace davvero. Non avrei messo a rischio il mio lavoro se non ci credessi davvero" 
"Lo so. Per questo mi sento in colpa! Però devi capire che l' Operazione Bruco... E' fondamentale!". Il suo tono fintamente drammatico risulta ilare. 
Io e Arianna condividiamo l' appartamento all' ottavo piano in viale Monterosa da otto anni. Le è stato regalato quando ha superato i test per la facoltà di medicina ma lei aveva il terrore di dormire da sola e non sapeva come dirlo ai suoi genitori senza sembrare una scema. Una mattina io ero in centro a Milano con nonna Eleonora, stavamo comprando il mio regalo per i diciotto anni: una splendida borsa di Chanel! Arianna era li con sua madre e piagnucolava sul fatto che forse doveva rimanere a casa con loro ancora qualche anno. Io mi giro verso di lei e le dico che è completamente pazza. "Io farei le valigie stasera stessa pur di non sentire più mia madre che mi dice in quale facoltà iscrivermi". In casa mia era iniziata la lotta per la conquista del libretto universitario alla facoltà di giurisprudenza. Arianna mi regala un sorriso enorme e si gira verso la madre "mamma, ti presento... Lei, la mia nuova coinquilina!". Non sapeva nemmeno il mio nome ma aveva capito, prima di tutti, che tra di noi avrebbe funzionato. Mi sono trasferita qui due giorni dopo il nostro incontro da Chanel (da Chanel succedono solo cose belle, un po' come da Tiffany in Colazione da Tiffany per intenderci) e dopo otto anni sono ancora qui. 
L' Operazione Bruco è un piccolo rituale che ci concediamo io e Arianna da otto anni ormai: una giornata di relax, massaggi, ceretta e messa in piega in un centro benessere in Svizzera di proprietà dei suoi genitori una domenica ogni due settimane. Lady Arleene non trovava mai posto in questo centro benessere e così l' ha comprato tutto tenendolo aperto anche la domenica. L' abbiamo soprannominata 'Operazione Bruco' perché quando usciamo da li ci sentiamo delle farfalle appena uscite dal bozzolo! 
Ma da quando Ferdinanda ha scoperto di essere incinta io lavoro anche di notte e, allo scadere del mio stage, è fondamentale che io sia presente e sempre disponibile con un sorriso stampato in faccia. A furia di sorridere mi si è bloccata la mascella e mi stanno venendo le rughe. Se ci aggiungiamo la relazione clandestina con il figlio del capo... Non ho più il tempo nemmeno di depilarmi le gambe. E dato che la mia relazione è fresca fresca di stampa (avete capito l' allusione, vero?) è fondamentale che le mie gambe siano liscie come la seta.
"Ti prometto sulle mie Manolo Blanick che appena finiscono i quarantacinque giorni a Vogue ce ne andiamo in Svizzera per un fine settimana interno e recuperiamo le Operazioni Bruco che abbiamo perso. Se non mi dovessero scegliere per il lavoro potrei prendere in considerazione seriamente l' idea di trasferirmi li per sempre!". Le sorrido, mi siedo sul letto accanto a lei e l' abbraccio. I suoi capelli profumano di shampoo e disinfettante. Arianna è un' amica fidata e mi dispiace tantissimo averla trascurata. 
"Se prometti sulle Manolo ti credo".
"Andiamo di la, gli spaghetti si saranno incollati ormai e ci toccherà mangiarli con coltello e forchetta!" dico. Mi sorride e mi segue in soggiorno. Gli spaghetti sono da buttare.
 "Ari" la fermo mentre rimette nel sacchetto gli spaghetti appiccicati "ma se fossi stata una psicopatica?"
"Con quella faccia?" risponde con una domanda sghignazzando. Esce dal soggiorno ridendo come una matta. 
"Scusa, che cos' ha la mia faccia che non va?"

Ferdinanda è in perfetta forma nonostante sia incinta. Non sembra cambiata di una virgola. Niente di eclatante, almeno. Non so ancora cosa abbia deciso di fare con il bambino quando mi chiama nel suo ufficio. Indossa un largo vestito accollato anni '40 bianco e nero. E' di H&M, l' ho visto nello store di Piazza San Babila mentre ritiravo delle gonne li vicino. 
"Lo tengo" dice appena ho chiuso la porta. Adesso capisco il vestito scampanato. "Sono di undici settimane, me l' ha detto il dottore ieri pomeriggio. Non ero convinta fino a che non sono entrata in quella sala d' aspetto piena di fotografie di neonati e donne grasse come piccole balenottere spiaggiate felici di esserlo. C' erano pancie di tutte le dimensioni e mani che le accarezzavano. Non ce l' ho fatta. Voglio questo figlio!" 
"Quando vorresti dirlo ad Anita?" so bene che è questo che la spaventa. Ferdinanda è una stacanovista, sarebbe l' erede perfetta di Anita al comando di Vogue. Sembrerà il colmo in un giornale prevalentemente femminile ma nemmeno qui le donne incinte sono viste di buon occhio. 
"Mai" dice sorridendo. "Ma credo che se ne accorgerà presto. Lavorerò fino a che posso e a pieno ritmo. Insomma sono incinta mica invalida!" 
L' ammiro ancora di più: invidio il suo coraggio di essere una mamma single nel momento in cui la sua carriera è ad un passo dalla svolta. I suoi occhi sono luminosi mentre si accarezza il ventre. "Hai fatto davvero un scelta coraggiosa!" le dico. 
"Filippa non ti nego che questo fatto mi porterà a delegare molto e in te rivedo me stessa vent' anni fa. Sei una sognatrice, una testarda e una coraggiosa. Mi piace il modo in cui lavori, sei leale e una preziosa fonte per me e per il giornale"
"Ancora per quindici giorni e sei ore" dico guardando l' orologio. 
"Non ci pensare. Questi quarantacinque giorni a Vogue saranno l' esperienza più piacevole che ti capiterà nella vita. Dopo ci sarà solo il lavoro. Se è davvero questo che vuoi fare nella vita scordati di avere l' orologio: non avrai più tempo, solo responsabilità. Guarda come mi sono ridotta io: ho quasi quarant' anni e sono sola e incinta!"

Torno alla mia scrivania e raccolgo i fogli sparsi. Il corriere dovrebbe consegnare la collezione estiva di Dolce & Gabbana da un momento all' altro, devo visionare i capi che possono essere utilizzati e dividerli da quelli da scartare e rimandare all' azienda. 
Anita, dopo aver letto il mio pezzo sulle città della moda mi ha affidato altri due articoli per il sito del giornale. Sarei voluta andare da Lara Ferrandi e sbandieraglielo ma non sono il tipo: mi suderebbero le mani e farfuglierei parole incomprensibili apparendo una rincitrullita più che una spaccona quindi meglio che mi stia zitta. 
Il mio Blackberry cinguetta avvisandomi che ho ricevuto un sms. E' Enrico che mi chiede se solo libera per pranzo. Gli rispondo che ho meno di mezz' ora. 
"Ci vediamo all' una in punto in terrazza, all' ultimo piano. Ho una sorpresa!" 
Guardo l' orologio, è l' una meno un quarto. Alzo gli occhi e vedo che in giro c'è poca gente. Prendo il cappotto blu elettrico dall' appendiabiti, infilo il blackberry nella tasca del pantaloni a vita alta che indosso e mi dirigo agli ascensori. 
Mi avvicino allo specchio dell' ascensore per controllare il trucco. Metto un velo di rossetto nude sulle labbra e sistemo il contorno con il dito. Tutto sommato non sono niente male! 
Quando le porte dell' ascensore si aprono all' undicesimo piano attraverso le stanze piene di cianfrusaglie dirigendomi alla terrazza. Gli ultimi due piani nel palazzo che ospita la redazione sono adibiti a ripostigli: ci sono vecchi numeri, bozze, vestiti che non servono più ma che teniamo perché prima o poi tornano di moda e tanta altra roba non catalogata che un giorno, si spera, troverà il suo posto nel mondo. Quando mi avvicino alla pesante porta finestra che divide l' interno dall' esterno scorgo Enrico. E' in piedi, appogiato alla ringhiera di ferro scuro che fissa un punto imprecisato nella piazza sotto di lui. Indossa un paio di jeans leggermente scoloriti intorno alle ginocchia e un maglione di lana blu. Si intravede il colletto di una camicia celeste a righine bianche. Fuori fa un freddo cane ma non ha il giubbotto. Sembra a suo agio al freddo con gli occhi persi chissà dove. Apro la porta ed esco in terrazza, alzo il bavero del cappotto. 
"Ehy, sei in anticipo!" mi dice sorridente. Le sue mani mi cingono la vita e le sue labbra mi danno un caloroso benvenuto. 
"Mi piacciono le sorprese!" ammicco. 
"E' davvero una cosa enorme!" 
Lo guardo interrogativa. Sembra eccitato come un bambino che sta per dire alla madre di aver fatto un goal alla sua prima partita di calcio. Chissà se Enrico e Davide hanno mai giocato a calcio e chissà se Anita è mai andata a vederli. Chissà dov'è Davide. Devo ricordarmi di chiamare Claudia e chiederglielo. 
Enrico mi mette una mano sugli occhi e mi dice di fidarsi di lui. "Continua a camminare" mi incita mentre mi tiene salda, la mia schiena è premuta sul suo petto. Piccoli tornado di aria gelida mi colpiscono le mani e il viso. 
"Manca molto?" chiedo. I quattordici centimetri di tacco con annesso plateau che mi dividono dal suolo non sono proprio l' ideale quando non sai dove stai mettendo i piedi. 
"Siamo arrivati". 
Enrico toglie la mano dai miei occhi ridandomi la vista. Le mie retine si riaddattano velocemente alla luce dell' ora di pranzo. Sotto di noi il traffico dell' ora di punta. Gli alti palazzi che contornano piazza Cadorna sono sempre gli stessi, grigi e screpolati dal tempo e dal freddo. 
"Cosa sto guardando?" chiedo confusa. Ad un primo sguardo veloce non noto niente di particolare.
"Guarda li" dice Enrico indicando un punto. Seguo la linea del suo braccio fino alla fine del dito e... oh... Ma che diavolo... Ora capisco cosa intendeva con 'enorme'!
Una delle foto che mi ha scattato a Parigi fa bella mostra di se sopra le impalcature di un palazzo. Il mio volto è seminascosco, non mi si riconosce, ma il piccolo tatuaggio sul polso è facilmente rintracciabile. I capelli arruffati, la pancia si intravede da sotto la canotta leggermente sollevata. Una delle due gambe è rannicchiata al petto mentre l' altra, stesa, è coperta a metà dal lenzuolo candido. Sotto una scritta in rosa pallido dice "Perchè odiarsi di prima mattina quando si puó dormire fino a mezzogiorno?". E' la pubblicità di una marca di pigiama. 
"Ti piace? Mi avevano contattato per questa campagna un paio di settimane fa e quando ho visto le stampe delle foto che ti ho fatto a Parigi ho capito che non serviva scattare altro!" 
Non riesco a dire nulla. Mi trovo a metà tra l' incazzatura e lo stupore. Rimango in silenzio qualche minuto fissando le mie mutande ad una grandenza spropositata di fronte la finestra dell' ufficio del mio capo.
"Quante ce ne sono in giro?" riesco a chiedere solamente.
"Più di un migliaglio solo a Milano" ammette. Mi guarda come se sapesse cosa sto pensando. "Forse avrei dovuto parlartene" dice. 
"Non è questo. Questa foto è davvero bella ma se si dovesse scoprire che sono io cosa credi che penserebbe tua madre? E Ferdinanda? Lei sa che eravamo insieme a Parigi e fa questo lavoro da così tanto tempo da sapere che il mio intervento li era inutile"
"E allora andiamo di sotto e diciamo a tutti come stanno le cose!" risponde come se fosse la decisione più facile. 
"Credi che sia una soluzione plausibile? Enrico quante ne volte ne abbiamo già discusso. Conosci tua madre meglio di me e sai che non è fattibile, non al momento almeno"
"Non era, di certo, la reazione che mi aspettavo". Mette il broncio e si appoggia alla ringhiera. Incrocia le braccia sul petto e abbassa lo sguardo. Mi strappa un sorriso. 
"La foto è stupenda e tu sei un fotografo eccezionale: non è facile far sembrare bellissima una ragazza appena sveglia, senza trucco e con i capelli scombinati" gli dico prendendogli il viso tra le mani. Enrico poggia le sue mani sulle mie e ne accarezza i dorsi con i pollici. 
"Mi spiace se questo può farci scoprire" dice sincero. Sono certa che lui sappia quanto sua madre tolleri poco le relazioni sul lavoro e sono convinta che Anita non vedrebbe di buon occhio una stagista che asprira al contratto di un anno che ci prova con sui figlio. Ammettiamolo, anche voi ci vedreste del marcio!
"Vedremo come andrà a finire" gli dico. Il mio tono sembra rassicurante ma, in realtà, c'è una vena di rassegnazione nella mia voce. 
Mi attira a se e poggia il suo viso sul mio cuore. Gli accarezzo i morbidi capelli castani che si muovono al passaggio della mia mano. Il mio battito cardiaco accellera quando c'è lui e questa cosa inizia a spaventarmi: ci sono delle mie foto in mutande in tutta Milano e io non ho battuto ciglio. Potrei perdere l' unica occasione di lavorare a Vogue, l' unica occasione di fare ciò che ho sempre desiderato. Fisso la foto sotto di me e penso a quanto mi sono sentita bene con lui in quei giorni a Parigi, quando è cominciato tutto. Ha riempito quel posto accanto a me che è stato vuoto per tantissimo tempo e, anche se questo rischia di mandare a rotoli tutto quello per cui ho faticato, Il fatto che lui sia li, con me e per me, mi basta. Mi sono forse innamorata? 
In redazione, quel pomeriggio, nessuno dice niente della nuova pubblicità apparsa in piazza Cadorna. Sono tutti febbrilmente occupati: mancano due giorni al ballo in maschera organizzato da Vogue al castello Sforzesco e il numero di dicembre è pronto per le edicole. Meglio così. Controllo velocemente la posta elettronica come faccio sempre prima di tornare a casa. Pubblicità, spam, inviti a mostre, inviti ai saldi di redazione e... Che cos'è questa? Fisso sbalordita il contenuto della mail. Rileggo più e più volte quelle poche righe. Non ci posso credere. 
Continua...

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