martedì 17 aprile 2012

45 giorni a Vogue #Chapter 32


Davide

La intravedo, attraverso le vetrate, stretta nel suo cappotto di cashmere color tortora. E’ decisamente più magra di quel che ricordassi; il suo volto è spento, chiuso in una cascata di lacrime e mascara; i lunghi capelli castani sono fermati sulla bassa nuca da un fermaglio di cristalli rossi e blu. 
Ho cercato di non pensare a lei. Ho tentato di dimenticare la sua pelle, le sue labbra, il suo profumo; ma ogni tentativo è stato inutile. Tutto mi ricorda lei. 
E lei, stasera, ha chiamato me. E’ talmente fragile che potrei prendermela senza sforzo. Potrei farla cadere in una di quelle trappole, che ho così ben collaudato negli anni, che la farebbero mia per sempre. Ma posso fare una cosa del genere a mio fratello? Sarebbe troppo. Anche per uno come me. Anche per un grandissimo bastardo come me.
Filippa alza lo sguardo e incrocia i miei occhi. Mi sorride forzatamente e si alza sui quel trampoli. Le caviglie esili, fasciate da un sottilissimo strato di nylon, leggere sotto il peso del suo corpo minuto, ondeggiano su quattordici centimetri di tacco firmato Yves Saint Laurent.
Scendo dall’ auto a noleggio e le vado incontro, aprendole lo sportello. 
Vorrei abbracciarla, dirle che a me va bene quello che fa, ma sarebbe una bugia: quello che fa è esattamente quello da cui sono fuggito per tutta la vita. E, per mio fratello, è esattamente lo stesso. Anche se non ci parlo praticamente da una vita, le posso sentire dentro la delusione, la rabbia e l’ incredulità che ha provato quando non l’ ha vista arrivare. Ogni volta che la porta di vetro della galleria tintinnava lui si girava nervoso in quella direzione, sperando fosse lei. Ogni volta che sentiva il ticchettio dei tacchi sul marmo bianco, tirato a lucido per l’ occasione, confidava che fosse Filippa. E, credetemi, non c’è nessuno al mondo che conosca queste sensazioni meglio di me. Quanti compleanni, quante riunioni scuola-famiglia, quanti esami all’ università e quanti Natali si è persa mia madre? Il conto si disperde negli anni. 
‘Grazie di essere venuto. Ho fatto un casino. Era talmente arrabbiato, nei suoi occhi c’ era odio. Non l’ avevo mai visto così’ mi racconta tra le lacrime. 
I suoi occhi sono cerchiati. Se non altro, a suo favore, ha il dispiacere che negli occhi di Anita non si è mai palesato. Mia madre sembrava che godesse nel preferire il suo lavoro a noi. Era quasi accecata dalla sete di potere e rivalsa. Filippa, a differenza sua, sta soffrendo. Questo, ovviamente, non cambia la realtà dei fatti. 
‘Hai agito esattamente come avrebbe fatto lei. Ero più che certo che Anita non si sarebbe fatta vedere stasera ma tu? Tu, Filippa, che scuse hai?’ le chiedo. Il mio tono è più duro di quanto non voglia. Inevitabilmente, il paragone con mia madre, è vivo. 
Un ricordo le attraversa lo sguardo. Sembra un libro aperto sulle pagine più dolorose e, allo stesso tempo, appaganti. 
‘E’ quello che ha detto Ferdinanda; che sono esattamente come tua madre’ mi conferma. Aggiunge un’ altra dose di lacrime e mascara al suo viso stravolto e si lascia andare sul sedile. 
Le prendo una mano e le accarezzo lentamente il dorso con il pollice. La sua pelle è fredda e bianca come la neve. Piccole venature blu scuro ravvivano l’ incarnato rendendolo particolare. Vorrei poggiare le mie labbra su di lei, sentire il sapore di lei sulla lingua, il calore della sua pelle sotto le mie mani. Che diavolo mi ha fatto questa donna? Perché non riesco a controllarmi quando sono con lei? Perché non riesco ad odiarla come ho fatto con Anita? Ha appena dimostrato ad una folla di gente e all’ uomo che ama di essere capace di abbandonarlo nel momento più importante della sua carriera esattamente come mia madre. Sembra la copia più giovane di quello da cui sono fuggito eppure, adesso, ne sono attratto come una calamita dal ferro. 
Che cosa spinge due persone a perdersi l’ una dentro l’ altra? Che tipo di legame si crea? Voglio una fottuta spiegazione per tutto questo. E’ scritto da qualche parte? E’ destino? E’ una stramaledetta trappola che ti toglie l’ aria se, come me, non si è ricambiati. 
Allontano la mia mano da lei bruscamente. Filippa si risveglia dal torpore in cui vegeta da qualche minuto singhiozzando e mi chiede spiegazioni con gli occhi pasticciati di trucco.
‘Non posso farlo. Non posso stare qui a guardarti mentre…’ lascio cadere il discorso. Non so nemmeno io cosa vorrei dirle; cosa dovrei fare. Mi sento bloccato in un maledetto punto di mezzo; tra il farla mia e il portarla dove il suo cuore vuole. 
‘Mentre?’ mi chiede. 
‘Mentre sei sul punto di spezzarti. E non per me. Nessuno aveva mai perso la calma per me’ 
‘Non è una gara’ accenna. Sembra che sorrida di questa affermazione. 
‘E se invece lo fosse? Se l’ amore fosse una gara a chi arriva prima alla meta? Se con te avessi perso il mio treno fortunato perché troppo distratto da altro? Avrei potuto essere io a lavorare a Vogue e non Enrico. Sarei stato io quello che avresti visto tutti i giorni. Se non mi fossi ribellato a mia madre forse adesso saresti mia’ 
‘E’ follia’ sbuffa. Il fiume di lacrime si è finalmente arrestato; l’ acqua è rientrata nei margini. 
‘Mai come adesso sento viva la convinzione che un singolo istante, una singola scelta, possano cambiare il corso di una vita’ affermo. Non credo di essere in me, pensando una cosa del genere, ma se tornassi indietro sopporterei Anita e le sue assenze pur di trovarmi in questo istante con lei tra le braccia. 
‘Mi porti a casa?’ chiede. Mi poggia una mano sul ginocchio e una scarica elettrica mi percorre la coscia. 
‘Certo’ 
Almeno per questa notte lei sarà mia. Anche se non come vorrei.

Sono quasi le due del mattino quando arriviamo in piazza Amendola, all’ angolo con Viale Monterosa. Le vetrine della farmacia, dell’ Esselunga in fondo alla strada, del fioraio e del giornalaio sono tutte serrate. Una leggera pioggerella è iniziata a cadere sotto forma di neve sciolta. 
‘Cristo, non ho le chiavi’ sentenzia Filippa. 
‘Non hai le chiavi di casa tua?’ 
‘No. Non dormo qui da quasi due mesi ormai. Mi sono praticamente trasferita a casa di Enrico. Le chiavi del mio appartamento saranno da qualche parte a casa sua, forse in redazione. Non ricordo’ 
‘La tua coinquilina? La rossa un po’ squilibrata?’ chiedo. Mi torna in mente il buffo modo in cui si è rivolta a me mentre eravamo a New York. 
‘Arianna dorme dai suoi. Dovrò svegliare il portiere’
Sul suo volto le si disegna un principio di terrore. Si fa luce con il cellulare sulla tastiera dei citofoni. Segue la lista di nomi con l’ indice fino a che non trova quello giusto. 
Suona un paio di colpi ma dall’ interfono non arriva nessuna risposta. Suona ancora. E ancora. 
Incolla il dito al campanello fino a che una voce concitata tuona ‘Chi diavolo è a quest’ ora? Maledetti, se è uno scherzo chiamo la polizia’ 
‘Il solito melodrammatico’ sbuffa Filippa. ‘Sono Filippa Torre, dell’ attico. Ho bisogno delle chiavi del mio appartamento; sono rimasta fuori’ urla. 
‘Signorina Torre le sembra questa l’ ora di citofonare?’ chiede il portiere. 
‘Sta piovendo e sono senza chiavi, cosa voleva che facessi? Che mi arrampicassi fino alle finestre? Potrebbe gentilmente aprire il portone così vengo su a prendere il mazzo di chiavi che ha lei?’ chiede spazientita. 
Un click ci avverte che il portone è aperto. Entriamo nell’ elegante atrio e ci dirigiamo a grandi passi, oltre le vetrate d’ ingresso, verso una porta di legno rifinita d’ oro in fondo alla sala. 
Lo stridio dei tacchi di Filippa, sul pregiato marmo bianco venato di grigio, irrompe il silenzio di una fredda e piovosa notte di gennaio. Le cassette delle lettere, accanto la porta dell’ appartamento di portineria, sono debolmente illuminate da una lampadina alogena che gli concede una luce giallastra. 
‘Davide ho bisogno d’ aiuto’ mi grida Filippa dalla casa del portiere. 
Aiuto? Possibile che il portiere le stia facendo storie per darle le chiavi? Come sono snob questi milanesi. Lo so che anche io sono nato qui ma ormai mi posso definire tutto fuorché milanese.  
Le vado incontro e vedo un omino spelacchiato che deposita pacchi e scatoloni di varie dimensioni fuori dal suo appartamento. Gli occhialetti rotondi adagiati sulla punta del naso a patata. Le pantofole di spugna, che un tempo ormai remoto saranno state verdi, bucate in prossimità degli alluci. L’ accappatoio legato alla bell’ e meglio sotto il pancione strabordante dai pantaloni. 
‘Dobbiamo salire queste cose a casa mia’ mi annuncia sfinita. ‘Finirà mai questa giornata?’ chiede la poveretta, esasperata. 
‘Se proprio dobbiamo essere precisi, signorina Torre, la giornata non è ancora cominciata’ ribatte il portiere con fare acidognolo. 
Carichiamo il bottino nell’ ascensore e diamo il comando d’ avvio per l’ attico: noi non ci entriamo. 
‘Credimi, non è assolutamente così che immaginavo la nostra prima notte insieme’ dico a Filippa mentre scarico dall’ ascensore l’ ultimo scatolo. 
Lei si gira un secondo, i capelli morbidi le ricadono lungo le guance, un sorrido le esplode in faccia. 
‘Smettila di essere sciocco’ 
‘Smettila tu’ 
Filippa sbuffa. Sorride ancora. 


In questo appartamento vige il caos. Le finestre non vengono aperte da settimane; la roba di Filippa, stipata in milioni di scatole di cartone, è sparsa ovunque. 
‘Devo togliere tutte queste scatole prima della settimana prossima. La mia coinquilina si traferisce e non vorrei che quelli del trasloco portassero tutto via scambiandole per roba sua’ annuncia Filippa. 
‘Si è stancata di te?’ chiedo. Cerco di essere distaccato, irriverente come al solito, ma non capisco proprio come si ci potrebbe stancare di lei. 
‘Si sposa’ fa lei brusca. 
‘Quindi rimarrai in questa grande casa da sola?’ chiedo. Come vorrei che mi chiedesse di farle compagnia. Come vorrei che ‘io e lei in questa casa’ fosse la routine. 
‘Non lo so. Da quando ho avuto il lavoro a Vogue non so più quale sia casa mia. Non ho mai dormito nello stesso letto per una settimana intera’ racconta. 
‘L’ immagine che dai di te, con queste parole, non è delle migliori’ scherzo immaginandomela come una ballerina del Moulin Rouge che compiace qualche vecchio cliente. Non che pensi che Filippa sia una qualche prostituta sia chiaro ma, dovete ammettere, che le sue parole si prestano ai fraintendimenti. 
‘Il tuo radar malizioso è sempre all’ erta, non è vero? Comunque sia, dicevo… Cosa stavo dicendo?’ chiede. Adoro il modo in cui sbatte le ciglia quando perde il filo dei pensieri. 
‘Ah si, l’ appartamento. Enrico mi ha chiesto di trasferirmi definitivamente da lui ma non so se sono pronta ad un passo così lungo. Non so se capisci’ 
‘Convivere? Non è troppo presto? Da quanto vi frequentate, dieci gioni?'. La voce mi esce più stridula e interessata del dovuto. Ma, diamine, convivere... 
'Quasi quattro mesi, in realtà' sbeffeggia lei. 
'Ah, beh... Allora chiedo scusa. Questo, si, che si può definire un rapporto solito e collaudato. Fra sei, otto mesi; addirittura tra un anno, quando ti accorgerai di aver fatto una scelta troppo affrettata cosa farai? Tornerai a vivere qui da sola, Filippa?' 
'Non capisco perché ti stai agitando tanto. Per come stanno le cose, ora come ora, non so nemmeno se tuo fratello vorrà vedermi ancora domani mattina. E, tanto per essere chiari, non credo che questi siano affari tuoi' risponde stizzita. 
Possibile che, dopo quello che è successo a New York, non abbia capito quanto io sia interessato a lei? Possibile che sia così accecata da quello che ha costruito con Enrico da non vedere quello che le succede intorno? 
'Filippa, dimmi solo una cosa, se Enrico te lo chiedesse, lasceresti Vogue?' 
'Non mi chiederebbe mai una cosa del genere. Sa quanto io ci tenga. Sarebbe come se io gli chiedessi di rinunciare alla fotografia. Sarebbe come rinunciare a me stessa. E, se sei davvero innamorato di una persona, non le chiedi di rinunciare a se stessa' 
'Ma se lo facesse? Se, per un motivo o per un altro, lui ti vedesse troppo simile ad Anita, lo faresti per lui?' 
Filippa si lascia andare allo schienale della poltrona sulla quale è raggomitolata. stringe in mano il bicchiere di vino bianco ormai caldo che si è versata poco fa. E' il quarto ormai e sembra che si sia tranquillizzata. 
Sta ragionando sulla mia domanda. Si attorciglia una ciocca di capelli al dito e se la porta al naso. Inspira. Chiude gli occhi. Posso vedere i suoi pensieri: si sta immaginando lontana dalla redazione; lontana dai viaggi e dagli abiti d' alta moda, dalle scarpe dal tacco vertigginoso e dalle macchine con autista. La sua espressione si spegne al pensiero di quello a cui dovrebbe rinunciare; tutti i sacrifici fatti per una vita intera andati a rotoli per un uomo. Poi, d' un tratto qualcosa le sfiora la mente, qualcosa di estremamente bello. Nel suo volto si dipinge la beatitudine che si riserva alle figure sacre. La sua pelle si illumina e le esplode un sorriso in viso. In quel momento mi è tutto chiaro: non potrò mai averla come ce l' ha lui. Il loro amore è più forte di questo. Filippa apre gli occhi e mi punta le sue pupille grigie addosso. Il suo sguardo mi scioglie il cuore: mai avrei creduto che qualcosa di così forte potesse esistere tra due persone. Un sentimento irrazionale e travolgente tanto da farti passare sopra a tutto, sopra te stesso. 
E con due semplici parole mi da la conferma di quello che temevo di più.
'Lo farei. Per Enrico lascerei tutto, se solo me lo chiedesse' 
Mi alzo e vado via. In silenzio. C'è una sola persona che deve saperlo: mio fratello.

'Che diavolo vuoi?' tuona Enrico al telefono. E' da poco passata l' alba e sono sotto le sue finestre. 
'Vattela a riprendere, subito' gli dico. 
'Chi? Di cosa stai parlando?' 
'Filippa' 
'Non sono affari tuoi' ruggisce. 
'Ha chiamato me questa notte. E sai una cosa? Per quanto sperassi che tra di voi fosse finita; che lei si accorgesse che sono io quello che vuole, mi sbagliavo. Tu sei l' unica persona per cui lei lascerebbe Vogue. Nemmeno tua madre l' ha fatto' 
'Non lo farebbe mai e ieri sera me l' ha dimostrato davanti ad un centinaio di persone che guardavano la sua essenza nelle mie foto' 
'Oh si che lo farebbe. Non essere uno stupido Enrico, è nel suo appartamento adesso. Vai e riprenditela prima che sia troppo tardi' 
Riattacco. Non ho più nulla da dire. 
Lascio che Milano mi scorra sotto i piedi e che la pioggia battente lavi i miei pensieri. Voglio tornare a Gibilterra più in fretta che posso. E, se solo fosse possibile, cancellare il volto di Filippa che ammette con assoluta sincerità che lascerebbe tutto per mio fratello. 






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13 commenti:

  1. ...ho letto il brano, ottime descrizioni, baci ady

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  2. a momenti piango Robi!!!!!!!!!!! ç____ç

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  3. Non me lo fai piacere...c'è niente da fare.
    Però amo leggerti

    33! 33! 33! :D

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    1. Edddaiiii che un po' ti piace. E' così tenerone... :D
      Robi

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    2. ahahaha!!! No dai...anche io non ho simpatia per Davide, però stavolta è stato bravo...si è messo da parte! :)

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  4. Voglio proprio vedere come si intricherà ancora di più tutta la vicenda...e a dire la verità ho quasi paura! ;)
    Alessandro

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    1. Anche io voglio proprio vedere come andrà a finire... ahahah :D
      Robi

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  5. mi unisco pure io.. 33!!! 33!!! 33!!! 33!!!

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  6. Ieri sera, su twitter, ti ho scritto che stavo leggendo il racconto. Tutto.
    Adesso l'ho finito.
    Adesso mi metto in pari con il lavoro, ma aspetto la prossima puntata

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  7. Ok non so come ma mi ero persa il tuo racconto...l'ho letto tutto d'un fiato...è bellissimo, davvero!! Ecco, ora non posso aspettare, voglio leggere il seguito *_*

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