lunedì 24 settembre 2012

One way or another. Chapter 7




Le sue mani scivolavano sulla stoffa pesante del maglione mentre mi stringeva. Accarezzavano, su e giù, ritmicamente, le trecce di lana color cioccolato. Era il nostro primo Natale insieme. Io gli avevo regalato un quarantacinque giri dei Beatles rarissimo, che avevo trovato in un negozio d’ antiquariato on line, che l’ aveva letteralmente mandato in brodo di giuggiole. 
‘E’ stupendo Leni, l’ ho cercato in lungo e in largo. La mia collezione è quasi ultimata!’ disse lui, felice come un bambino, quando aprì il pacchetto. 
Mi abbracciò forte, stritolandomi. Quell’ anno avevamo affittato una piccola baita in montagna per poter passare le vacanze insieme. Volevamo trascorrere quelle vacanze senza misurarne il tempo. I primi mesi di università ci avevano completamente assorbito: Ettore era nato per diventare architetto e viveva per quello che studiava. La sua mano ferma era capace di tracciare linee perfette, che in un solo istante si trasformavano in piccoli capolavori architettonici. Milioni di volte l’ avevo fissato disegnare la nostra vita: la nostra casa, che doveva essere a tre piani con la piscina sul retro; la chiesa in cui si sarebbe svolto il nostro matrimonio, con quelle guglie e quello stile un po’ gotico e un po’ romantico; perfino l’ hotel in cui avremmo soggiornato per il nostro venticinquesimo anniversario di matrimonio. La matita scivolava lenta e ferma sul foglio mentre le nostre teste disegnavano un futuro dettato dal cuore. Nei suoi disegni tutto era possibile.  Quando si hanno vent’ anni tutto sembra possibile: basta disegnarlo su un foglio bianco per far si che si realizzi.
‘Adesso voglio il mio regalo’ dissi. Il mio tono era leggermente alterato. Nella mia testa voleva essere ammiccante e un tantino infantile ma invece mi uscì una strana voce come se avessi inalato elio da un palloncino. 
Ettore rise del mio tentativo fallito di fare la gattina e si alzò. Indossava un paio di pantaloni del pigiama di pail a quadri neri e rossi e una felpa blu. Nonostante l’ abbigliamento comodo, le sue curve scolpite emergevano in maniera sensuale. Una strisciolina della bassa schiena era rimasta scoperta e sentii i miei ormoni fremere. Il sesso tra di noi era fantastico. Ci completavamo in un intreccio di corpi ed anime; pelle e cuore; respiro e ansimi. Lo desideravo in ogni momento ed ogni volta che lui era dentro di me ringraziavo il cielo per il regalo meraviglioso che mi aveva fatto. 
Tornò al suo posto, accanto a me, sul plaid a terra davanti il camino, e mi mise sotto il naso un piccolo pacchetto blu con un nastrino rosa in cima. 
‘Aprilo’ disse lui eccitato. Gli occhi color nocciola luccicavano, illuminati dallo scintillio del fuoco davanti a noi. Sembrava la scena di un qualsiasi film d’ amore girato a Natale. Solo Mariah Carrey con All i want for Christmass poteva completare l’ opera. 
Tirai impaziente il laccetto di raso e lo lasciai cadere incurante; si posò sulla coperta di lana di pecora che avevo sulle gambe. Sfilai il coperchio di cartoncino pesante e un piccolo luccichio mi sorrise. Un cuore coperto di minuscole pagliuzze di brillanti faceva bella mostra di se sul velluto blu scuro. Ma era un cuore vero; il ciondolo aveva la forma del cuore anatomico e non il classico disegno stilizzato con due cupole e una punta.
‘Il mio cuore ti appartiene Leni, e l’ ultima volta che ho controllato aveva questa forma quindi ho pensato di regalartene una riproduzione fedele!’ disse soddisfatto di avermi lasciato senza parole. Gli sorrisi e gli porsi le estremità della catenina d’ oro bianco alla quale era attaccato il ciondolo attraverso l’ aorta. Mi girai, sollevai i capelli e lasciai che me lo legasse al collo. 
Mi solleticò il collo con le dita e poi vi poggiò sopra le labbra. L’ incoscienza dei nostri gesti ne amplificava il sapore: ogni nostra mossa scatenava reazioni chimiche, in noi, esplosive. I suoi baci mi mandavano in estasi. Le sue carezze mi stuzzicavano nel profondo. Quando facevo l’ amore con lui riuscivo a sentirmi viva come non mi era mai successo. Nulla era studiato o pensato: ci lasciavamo andare ai desideri e ci dicevamo le parole senza pensarle prima. Tra di noi c' era la semplicità e la confidenza di due cuori che viaggiavano alla stessa velocità verso lo stesso obbiettivo. 
E fu proprio questo il problema: quando lui non fece più parte della mia vita divenni come una drogata senza la sua dose. 



Apro il cassetto della mia stanza da letto, alla casa al mare, e frugo tra le scatole e le cianfrusaglie fino a che non trovo quello che cerco: la scatolina blu. 
Era nascosta in fondo, tra le collane grosse di conchiglie e pietre dure e i bracciali colorati e tintinnanti che si usano d’ estate. 
Indugio un momento sul coperchio. Accarezzo le piccole venature sul cartoncino usurato dal tempo. Sono passati, quanti? Sette o otto Natali? 
Sollevo il coperchio e lascio che le emozioni diano spettacolo. Il muro che avevo messo tra me e i ricordi crolla come sabbia e tutto torna chiaro. Il ventre mi si costringe mentre i ricordi mi scivolano nelle vene.
Libero la catenina dal velluto e lascio ricadere la scatola aperta nel cassetto. Gesù, sono passati cinque anni da quando l’ ho tolta dal collo, l’ ho riposta in questo cassetto e non l’ ho più guardata. Nel periodo in cui sono stata con Ettore non me ne sono mai separata. Ognuno che vedeva il ciondolo mi chiedeva che diavolo fosse. Un pugno? Una palla da rugby? Un oggetto astratto? Ed ogni volta raccontavo la storia della baita, del camino e del cuore. 
Espongo la collana alla luce del sole d’ estate che filtra dalle finestre e la guardo per la prima volta con occhi nuovi. Effettivamente bisogna saperlo per capire che è un cuore. Eppure mi sembra ancora così romantica. Sorrido involontariamente mentre me la poggio sul petto e fisso la mia immagine riflessa nello specchio. Cosa è cambiato? E’ una nuova Elena quella che ho davanti o è sempre la stessa ragazzina di sei anni fa? 
I capelli castani sono leggermente più corti; il viso più magro. Gli occhi hanno pianto di meno in questi quattro anni con Giorgio che in quelli passati con Ettore. 
Allontano la collana da me e la poggio sulla cassettiera. Il pensiero di quello che è successo tra di noi mi fa rivoltare le budella. Un nodo di rabbia e tristezza per come è finita. Per quello che potevamo essere. 
Il cellulare, poggiato sul comodino, comincia ad agitarsi suonando e vibrando. Lo afferro e leggo Isabella La Stronza sullo schermo. Cristo santo, ci mancava solo lei. Mentre il telefono continua imperterrito a squillare valuto i pro e i contro di rispondere alla sciacquetta che va dietro al mio futuro marito da quando avevano dieci anni. Con mio immenso rammarico il telefono smette di squillare. Peccato. 
Non ho nemmeno il tempo di posarlo nuovamente sul comodino che la suoneria ricomincia. 
‘Pronto’ dico riluttante. 
‘Elena carissima’ esordisce lei. La vocina nasale mi arriva al cervello immediatamente. Dio, quanto la detesto. 
‘Isabella, che piacere sentirti’ mento. Il mio tono di voce, però, tradisce i miei sentimenti.
‘Elena carissima, il piacere è tutto mio. Ti chiamavo perché ieri pomeriggio ho incontrato la tua futura suocera dal parrucchiere e mi ha detto di quanto fosse preoccupata per te’ 
La mia faccia si piega in un ghigno. Preoccupata? E perché mai?
‘Non vedo perché dovrebbe essere preoccupata per me’ dichiaro. 
‘Beh, pare che i preparativi per il matrimonio ti stiano stressando parecchio’ 
‘Oh beh, ci sono molte cose da fare’ biascico. Perché la madre di Giorgio parla con quell’ oca petulante di Isabella? Oh, già... Perché pensava che Giorgio prima o poi avrebbe sposato lei. 
‘Ed è per questo che ti chiamo: voglio che tu sappia che sono a tua completa disposizione. Usami come vuoi! Ho detto la stessa cosa a Giorgio’ sghignazza. 
Cosa ha detto a Giorgio? Io l’ ammazzo. 
‘Che fortuna!’ mi sforzo di dire.
‘Sai che l’ affetto che nutro per Giorgio è infinito’ comincia lei. Un moto di gelosia mi sale dallo stomaco fino alla punta del più lungo dei miei capelli. ‘E che farei di tutto per lui’ 
‘E’ molto fortunato ad avere un’ amica così fedele’ commento sottolineando la parola amica. 
‘Quindi ti prego di non esitare a chiamarmi se mai avessi bisogno di una mano’ 
‘Non mancherò’ la rassicuro. 
Nemmeno se fosse l’ ultima persona rimasta sulla faccia della terra, mi sognerei mai di chiamare Isabella Caballaro per organizzare il mio matrimonio. Quella sciocca oca sarebbe capace di legarmi e presentarsi al mio posto. Rabbrividisco al pensiero. Chiudo la conversazione e lancio il cellulare sul letto. 
Giorgio e Isabella si conoscono da quando avevano cinque anni. Sua madre, un’ odiosa borghese che non ha mai fatto nulla per guadagnare un solo euro in vita sua ma che sa bene come spenderne in quantità industriali, ha sempre fatto dei commenti sgradevoli su di me; perfino in mia presenza si è permessa di sottolineare quanto fossi stupida a non essere ancora laureata. Però non ricorda mai che la sua cara figliola si è iscritta alla facoltà di medicina insieme a Giorgio ma ha mollato dopo due anni perché il sangue le faceva impressione. A me il sangue ribolle nelle vene ogni volta che penso a lei.
Afferro il cellulare: vorrei mandare un sms a Giorgio per raccontargli della telefonata ma a quest' ora sarà in ospedale ed è meglio non disturbarlo con queste sciocchezze. Non mi ha mai dato modo di dubitare del fatto che tra lui e Isabella non c'è mai stato, ne ci sarà mai ovviamente, nulla. 
Apro tutte le finestre al pianterreno e mi godo la vista meravigliosa sulla baia. Il raggi del sole accarezzano l’ acqua tranquilla e la fanno luccicare ad ogni andirivieni. Le rocce della scogliera che contorna la piccola insenatura ad est sembrano fatte di gesso mentre l' acqua le accarezza dolcemente. La visione paradisiaca che si stende ai miei piedi mi rilassa. I momenti più belli della mia vita hanno avuto questo sfondo. 
Il paese sta stiracchiando le braccia. I primi caffè sono già stati serviti mentre si ci prepara per il mare. Oggi mi regalerò un’ intera giornata in barca in piena solitudine. I miei genitori sono partiti per una crociera nel Mediterraneo e mio fratello è in giro per l’ Europa con gli amici a festeggiare la maturità. 
Indosso un bikini fucsia, che pesco dal cassetto dei costumi nella cassettiera di mia madre, e un caftano in tinta. Il molo, a piedi, dista solo un centinaio di metri dal cancelletto di casa. 
Quando ero bambina mio papà mi portava sulle spalle fino alla barca e poi, puntualmente, mi buttava in acqua completamente vestita provocando le ire di mia madre che urlava perché l' acqua salata rovina i vestiti.
Mi chiudo il cancello di casa alle spalle e respiro l’ aria calda di luglio. I preparativi per il matrimonio proseguono tra bomboniere e strani oggetti di cristallo che, a detta di mia suocera, io e Giorgio dobbiamo assolutamente mettere nella lista nozze. Abbiamo finalmente prenotato i biglietti per il viaggio di nozze: cinque brevissimi giorni a New York, dei quali due purtroppo se ne andranno di viaggio, perché Giorgio non può stare via di più. Alloggeremo in uno dei migliori hotel della città e spero vivamente di non lasciare mai la stanza. In momenti come questi, in cui tutti sono allegramente in ferie e organizzano e pianificano vacanze con la persona che amano, maledico sempre il lavoro di Giorgio. Lo assorbe completamente e quando torna a casa è talmente stanco che non ha nemmeno la forza di parlare. Ma dovreste vedere come gli brillano gli occhi quando riesce a salvare una vita; quando la sua mente ripercorre i gesti fatti in sala operatoria il suo sguardo si accende di una luce ai limiti del divino. Morirebbe piuttosto che smettere di fare quello che fa. 
Io potrei anche rimanere chiusa in casa a studiare ma poi guardo il mare dalla finestra e mi lascio coccolare dallo spettacolare blu che si fonde all’ orizzonte con il cielo e cambio idea: non si può non andare al mare in giornate come questa.
Al molo non c’è nessuno. E’ ancora troppo presto perché i bagnanti della domenica facciano sfoggio delle fatiche fatte durante l’ inverno in vista della prova costume. L’ acqua cristallina è leggermente mossa da un filo d’ aria impercettibile. Un piccolo gruppetto di pesciolini dalle tinte tenui si sta accapigliando per un minuscolo pezzettino di pane. Un ciuffetto di alghe ondeggia placido, attaccato ad una delle prime barche ormeggiate. 
‘Leni’ sento chiamarmi alle spalle. Il nomignolo familiare non lascia posto ai dubbi: è Ettore. 
Inforco gli occhiali da sole e mi giro verso di lui. E’ completamente bagnato e i capelli sono iscuriti e tirati all’ indietro. Piccole goccioline salate gli accarezzano gli addominali assurdamente scolpiti e si fermano sull’ elastico del costume azzurro. Mi sorride sincero e una raggera di piccole rughette gli contorna gli occhi. 
‘Ettore’ riesco a dire. Il suo corpo mi ha sempre fatto uno strano effetto. Sento i muscoli del basso ventre tirare in una piacevole sensazione di bisogno impellente. 
‘Vai a prendere un po’ di sole in barca?’ chiede lui tranquillo. Si passa una mano tra i capelli umidi e il bicipite gli si gonfia sensibilmente. Sento il mio corpo prendere fuoco: possibile che dopo tutti questi anni mi faccia ancora questo effetto? Possibile che il solo averlo davanti mezzo svestito mi faccia perdere la testa e la ragione. 
Accenno una risposta positiva con la testa e stringo più forte i manici della borsa di paglia. Sento le mani prudere per quanto stringa forte. 
‘Sei poi riuscita a prendere la patente nautica?’ continua lui come se fossimo amici di lunga data e fosse normale incontrarsi al molo. Non l’ avevo più incontrato qui alla baia da quando la nostra storia è finita. Perché adesso? Perché quando la mia vita sta svoltando verso il matrimonio? Colui a cui è stato affidato il mio destino dev' essere proprio un incompetente!
‘No. Non ho mai passato la pratica e dopo la terza volta ho rinunciato’ annuncio con una nota di vergogna. In realtà non ho più voluto riprovare. Ettore aveva insistito così tanto che anche io prendessi la patente che non volevo deluderlo. Passavamo giornate intere in giro in mare aperto; lui mi stringeva le mani sul timone e mi guidava cercando di insegnarmi. Io mi accoccolavo sul suo petto e mi lasciavo trascinare dal motore in sottofondo. Quando ci siamo lasciati ho perso interesse per molte delle cose che mi ricordavano lui e la patente nautica è stata una di quelle. 
‘Io sto uscendo con il gommone, ti va di venire a fare un giro? Se non hai altri impegni, ovviamente’ chiede lui cordiale. C’è un qualcosa di impaziente nella sua voce ma, allo stesso tempo, rassicurante: sembra innocuo. 
‘Non mi sembra il caso’ rispondo senza un filo di convinzione nella voce. 
‘Non essere sciocca Leni, pensi che ti salti addosso mentre siamo in mare?’ dice ridendo. 
Per un attimo mi attraversa la mente il pensiero e vorrei che lo facesse. Mi scuoto e allontano quelle assurde fantasie da me. Abbasso gli occhi sull' anello di fidanzamento e mi rendo conto che andare con lui sarebbe davvero una cattiva idea. Una pessima idea. La peggiore delle idee. 
‘Non posso proprio davvero’ ribadisco. 
Ettore si avvicina alle cime del gommone bianco e blu che gli sta davanti. Ne tira una e la barca si sposta leggiadra sull’ acqua fino ad attaccarsi al molo di legno creando una passatoia. Mi tende la mano mentre con l’ altra tiene fisso il gommone. ‘Salga a bordo, signorina’ dice affabile. 
Afferro la sua mano, e senza sapere perché salgo a bordo. Con un gesto agile, in un attimo, le cime sono mollate e ci stiamo allontanando dalla baia. Dalla terra ferma. Da ogni possibile via di fuga.  


Continua...


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